Convegno al Senato “Giochi riflessi 2.0 – Linguaggi. Poteri. Politiche. Invidie. Violenze. Hate speech”

Questa mattina sono intervenuto al convegno “Giochi riflessi 2.0 – Linguaggi. Poteri. Politiche. Invidie. Violenze. Hate speech” in Sala Zuccari al Senato promosso dall’Associazione Ex Parlamentari

E’ senza dubbio vero che tra off line e on line il confine è sempre più labile.
Questi due ambienti interagiscono e si influenzano reciprocamente. Ecco perché diventa importante educare, promuovere un’educazione civica 4.0 che – oggi, a differenza che in passato – deve rinnovarsi alla luce dei nuovi linguaggi sui social in cui, più o meno, ciascuno di noi si trova.

I linguaggi sono radicalmente diversi.
Il 45% dei giovani sta sui social perché li fa stare bene, li fanno sentire in relazione.
Per il 35% piu o meno è un’importante occasione di partecipazione civica o politica.
La partecipazione civica dunque, prima ancora che politica, passa dai social. Non passerà, ma passa già oggi da qui. Penso al fenomeno Greta che, nel bene e nel male, ha mobilitato milioni e milioni di giovani in tutto il mondo.

Attenzione però a un uso distorto dei sociali.
Oggi parliamo di linguaggi ma anche di hate speech.
E’ un termine che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni.
Il 20% dei giovani usa i canali social come megafono in cui gridare le proprie rivendicazioni.
Il 30% usa i canali social come buco della serratura per spiare le vite degli altri.
Il 25% li usa come diario per raccontare la propria vita.
C’è una voglia di partecipare, dunque.

Ecco perché è fondamentale agire sul fronte dell’educazione, coinvolgendo in primis le scuole e le famiglie.
Ma servono anche strumenti normativi e profili necessari per contrastare il fenomeno dell’hate speech.
Per contrastare i pericoli di Internet servono un avvocato specializzato sul web, l’informatico per acquisire le prove del reato, lo psicologo, il criminologo e, non ultimo, una figura che sia in grado di ripristinare la reputazione virtuale violata, la social reputation.

Oggi quando si diffama, si offende o si attacca qualcuno sul web, il problema è la viralità.
Serve un approccio integrato rispetto a questo problema.
L’hate speech non è un fenomeno del tutto nuovo ma è facilitato dalle tecnologie digitali.
Per rivalersi in giudizio servono prove incontestabili e quindi l’informatico deve lavorare a stretto contatto con l’avvocato. Servono in media, oggi, dai 6 ai 12 mesi ( e dai 10.000 euro in su) per intervenire su commenti lesivi pubblicati sui social per ricostruire un’identità positiva. Non basta, insomma, – come si dice in questi casi – ripulire il web.

Oggi Twitter Facebook YouTube hanno aderito al Codice di condotta della Commissione UE per il contrasto all’illecito incitamento all’odio on line.
Dei piccoli passi in avanti si stanno compiendo ma bisogna fare di più.
Personalmente ritengo che la libera manifestazione del pensiero è sacrosanta e doverosa ma ciascuno di noi, nel momento in cui vuole esprimere un’opinione, – come si dice in questi casi – deve metterci la faccia.
E dunque è importante che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. Sarebbe a mio avviso interessante e lo lancio come spunto nel dibattito che seguirà dopo… sarebbe interessante valutare quelle soluzioni normative che consentano di individuare attraverso la registrazione nel web di individuare gli autori degli hate speech così come delle fake news.

E’ fondamentale, dunque, fornire risposte adeguate, sia in termini al alfabetizzazione per acquisire una maggiore consapevolezza degli strumenti social e dei linguaggi utilizzati, sia in termini di predisposizione di strumenti normativi atti a garantire che la libertà di espressione venga garantita nel rispetto della dignità della persona e della social reputation che è un concetto fondamentale da tutelare.

 

 

 

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