Alfabetizzazione digitale e competenze: quale futuro per il Paese?

Cari amici,

oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani, su mia iniziativa, in Sala Zuccari, si è svolto il convegno “Alfabetizzazione DIGITALE e competenze: quale futuro per il Paese?”.

Hanno partecipato ai lavori Gianni POTTI (presidente e founder di DigitalMeet 2021); dottor Mauro MINENNA, Capo Dipartimento per la trasformazione digitale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; Paolo GHEZZI (direttore generale Infocamere); Gianpaolo ARACO (capo ufficio Organizzazione – Strategie IT – Senato della Repubblica) e Francesco ROMANO (direzione Risorse e Affari generali, titolare del Servizio ICT Consap).

L’emergenza Covid ha radicalmente cambiato le nostre abitudini e ci ha messo tutti nelle condizioni – in periodo di lockdown ma non solo – di viaggiare nel mondo digitale per i benefici più disparati.

C’è chi come un’impresa associa l’esperienza digitale a uno strumento che può portare potenzialmente ad un efficientamento dei processi produttivi.

C’è chi come un adulto, lavoratore, usa il digitale in ufficio (basti pensare all’esperienza dello smart working) ma anche per accedere ai servizi come quelli sanitari o per interfacciarsi con la Pubblica Amministrazione (tema di cui parlerò più avanti).

C’è chi come uno studente, magari nativo digitale, associa invece il digitale a qualcosa di più che riguarda la vita scolastica (penso all’esperienza della didattica a distanza e qui non entro nel merito della validità di questo strumento in quanto non è questa la sede per farlo) ma più in generale riguarda la sua socialità, le interazioni con i pari e le attività formative e ludiche.

La svolta digitale richiede nuove competenze.

Lo studio interessante che ci ha illustrato il prof. Paolo Gubitta – docente di Organizzazione aziendale all’Università di Padova – ci ha fornito spunti molto significativi per una riflessione su quanto resti ancora da fare per cogliere la grande sfida dell’alfabetizzazione digitale.

Oggi il sistema Paese si trova davanti ad un bivio.

Abbiamo le chiavi per il ritorno alla normalità e le abbiamo anche grazie alla grande scommessa che è rappresentata in primis dalle risorse del Recovery Plan.

Apro una parentesi, se mi consentite.

Oggi l’unico nemico da combattere è e rimane il Covid-19 che, in questo anno e mezzo di pandemia, ci ha insegnato molto. Vorrei tanto che non dimenticassimo la lezione che ci ha insegnato questa emergenza. Abbiamo il dovere di rimanere uniti.

Il Paese riparte se abbiamo la capacità di prendere il treno del Recovery, se sapremo sfruttare quelle risorse che oggi rappresentano una grande opportunità per recuperare anni di ritardi  e aggredire le debolezze strutturali dell’Italia.

La “benzina” dunque arriverà e arriverà in maniera importante ma non possiamo permetterci di restare fermi. Le “macchine” e i “piloti” vanno fatti trovare pronti.

Il fattore competenza è cruciale.

La sfida digitale non deve riguardare solo le macchine ma soprattutto le persone.

Non può esserci vera digitalizzazione se non torniamo ad investire sui “piloti”, sul capitale umano, su una nuova alfabetizzazione dei cittadini italiani. Se lo faremo e solo se faremo questo, riusciamo a far “correre”  la macchina o – usando un’espressione cara al presidente di DigitalMeet e amico Gianni Potti – a “surfare” l’onda dell’innovazione e della tecnologia.

E’ per questo motivo che quest’anno abbiamo deciso di promuovere questo Convegno sul tema dell’alfabetizzazione digitale e delle competenze.

Perché siamo consapevoli che è da queste tre parole chiavecompetenze, alfabetizzazione, digitale – che dipende il futuro del Paese, lo sviluppo della nostra economia, oserei direi la crescita armonica della nostra comunità, dei nostri cittadini e dei nostri territori.

Come leggiamo nel rapporto DESI 2020 l’Italia si colloca purtroppo agli ultimi posti in Europa in materia di competenze digitali. Il nostro Paese si trova in 25esima posizione su 28 Stati membri dell’UE. Siamo davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria.

Siamo di fronte ad un’altra forma di analfabetismo: quello digitale appunto.

Quando parliamo di sfida digitale, come accennavo, non possiamo non far riferimento alle risorse europee del Recovery Plan.

I fondi del Recovery sono un’opportunità che va colta e sfruttata.

Abbiamo il dovere, a mio avviso, di pensare alla rivoluzione digitale a 360 gradi.

Dobbiamo pensare sicuramente al tema delle infrastrutture (es. banda larga a e connettività), al sistema della Pubblica amministrazione (che è chiamata oggi a diventare sempre più 4.0) ma soprattutto dobbiamo pensare al tema delle competenze.

Senza competenze anche l’infrastruttura più importante rischia di essere insufficiente.

Senza competenze qualsiasi processo di transizione digitale rischia di non essere mai completo perché manca l’anello più importante, quello dell’uomo, quello della mente umana.

Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) prevede oltre 40 miliardi per la digitalizzazione del sistema Paese.

Sono numeri importanti e lo sono ancora di più perché l’Italia è ancora un Paese prevalentemente analogico.   

Il Piano di rirpresa e resilienza investe non a caso nel capitolo “Digitalizzazione e innovazione” ¼ delle risorse interamente stanziate dal Recovery.

Il digitale in realtà attraversa trasversalmente tutto il Piano  e molti dei progetti in esso contenuti: basti pensare ai 4 miliardi per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero, ai 3,9 miliardi della banda ultralarga  e a 1,6 miliardi per il 5g.

Il digitale come accennavo all’inizio del mio intervento ha subito una profonda accelerazione.
Ma purtroppo non basta.

C’è un ritardo.

A inizio 2020 solo il 5% del PIL italiano era riconducibile al digitale contro l’8% della Germania e il 6,6% della media europea.  Secondo l’Eurostat peggio di noi fanno solo Bulgaria Romania e Grecia.

A conferma di ciò un altro dato.

La quota dei lavoratori dipendenti che sono occupati nel settore delle telecomunicazioni va dal 22% del Lussemburgo al 7% di Italia Grecia e Slovacchia.

Ecco perché  –  e torno all’argomento di prima  è fondamentale investire sulle PERSONE.

Rilancio in questa sede una proposta che ho fatto negli anni scorsi: introdurre l’educazione digitale fin dalla scuola elementare non per insegnare ai giovanissimi l’uso della tecnologia che già conoscono ma per educarli alla cittadinanza digitale e ad un utilizzo critico e consapevole della Rete e dei nuovi media.

Così come credo sia altrettanto fondamentale, come ho sottolineato stamane, indirizzare con lungimiranza il grande sistema dell’education investendo di più su formazione professionale,  lauree STEM (Scienze, tecnologia, Ingegneria e Matematica) e formazione continua.

I tre aspetti che ho citato prima – competenze digitali, infrastrutture e digitalizzazione PA – sono estremamente interconnessi tra di loro.

Pensiamo al futuro, forse neanche così tanto remoto.

Da cellulare, forse in un giorno non poi così lontano, il cittadino potrà accedere a tutti i servizi (anche pubblici), eseguire le operazioni più disparate, avere la certificazione per qualsiasi esigenza o, ancora, compiere in Rete operazioni che generalmente eseguiva nella vita off line

Come ben sappiamo – e mi rivolgo in questo frangente al Dott. Ghezzi, direttore generale InfoCamere – è sì fondamentale accelerare la digitalizzazione del sistema economico ma non potremo farlo se in parallelo non ci sarà una digitalizzazione dell’eco-sistema in cui le imprese operano e con cui le imprese si interfacciano quotidianamente, ovvero la Pubblica amministrazione.

Non possiamo correre il rischio – come ha paventato qualcuno – di avere un’Italia a due velocità, un’Italia in cui le imprese vanno alla velocità della luce (sul fronte dell’innovazione e delle nuove tecnologie) mentre la PA rischia di rimanere indietro e costituire magari un freno allo sviluppo e alla crescita.

Il fattore competenza è dunque cruciale anche in questo ambito. La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, infatti, passa attraverso prima di tutto la riqualificazione delle persone e dei dipendenti pubblici.

Se riqualificheremo la PA e solo se riqualificheremo la PA potremo assicurare alle imprese e ai cittadini servizi più efficienti e una Pubblica amministrazione più amica dei cittadini e non più percepita come un ostacolo burocratico.

Solo investendo sulle competenze delle persone, potremo cogliere le opportunità di innovazione per rendere competitiva la nostra economia e fare dell’Italia un Paese attrattivo  per gli investitori internazionali e sempre più competitivo.

Quando parliamo di Pubblica Amministrazione, a mio avviso, abbiamo il dovere di porre l’attenzione anche su due obiettivi sicuramente ambiziosi ma necessari se vogliamo cogliere questa grande sfida.

Il primo obiettivo è quello dell’interoperabilità tra le banche dati della PA.

Se intendiamo accorciare il divario oggi esistente tra cittadini, aziende e amministrazioni  pubbliche, non possiamo prescindere dalla creazione di “corridoi digitali” che siano in grado di mettere in connessione tra di loro i vari e più disparati mondi della Pubblica Amministrazione.

Perché ciascuno anello della catena può avere l’infrastruttura più tecnologica e più all’avanguardia di questo mondo, ma ancora più importante è il fatto che questi anelli della catena siano collegati fra di loro e si poggino su una infrastruttura condivisa.

Solo così affermeremo il principio “once only” per evitare che le amministrazioni debbano chiedere ogni volta al cittadino o all’impresa informazioni che già posseggono.

Il secondo fronte è quello relativo alla realizzazione di una piattaforma unica digitale pubblica.

Alcuni parlano di “nuvola” della PA digitale. Prospettive che ci sembrano ancora lontane.

Eppure, quando sono in atto grandi cambiamenti, servono visione, prospettiva, lungimiranza.

Visione, prospettiva e lungimiranza per pensare non ai cittadini di oggi, non ai nativi digitali che sono i nostri figli e i nostri nipoti ma agli abitanti digitali del domani. A chi, nel 2050, abiterà in uno Stato completamente digitale.

Antonio

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