Il disegno di legge sulle “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipare di trattamento”, in discussione in Aula in Senato, procede su due assi principali, due “binari”, contenuti negli articoli 1 e 3.
L’articolo 1 riguarda il consenso informato. L’art. 32 della Costituzione sancisce il principio della libertà di cura. La condizione indispensabile per valutare bene l’articolo 1 è che il paziente soggetto malato sia capace di intendere e volere. Si tratta di un aspetto sul quale sono rimaste, nel provvedimento, troppe ambiguità e contraddizioni.
Quando parliamo di salute non possiamo perdere di vista la relazione medico-paziente che, in questo provvedimento, è sbilanciata a favore di quest’ultimo. In altre parole, il medico rischia di diventare il mero esecutore della volontà del paziente. Il medico ha un ruolo di garanzia e dovrebbe aiutare il paziente ad orientarsi nelle decisioni. Il medico è garante della vita del paziente e della sua libertà. Questa figura centrale del medico viene ridimensionata nel provvedimento dietro il quale sembra esserci una sorta di cultura del sospetto che vede medico e paziente contrapposti. Paradossalmente il medico “buono” sarebbe quello che accetta la volontà del paziente di rifiutare le cure fino ad anticipare la morte anche sospendendo la nutrizione idratazione – aspetto su cui ci soffermeremo tra poco -! Il medico “cattivo” invece è quello che fa di tutto per prendersi cura del paziente, si rifiuta di anticiparne la morte ma è disponibile a curare il paziente con le cosiddette cure palliative di cui la sedazione profonda – che è già prevista dal nostro ordinamento – rappresenta l’ultimo stadio. In questa legge tutto il potere è affidato al paziente e il medico ha scarsi margini di azione nella cura del paziente.
Nel provvedimento non c’è un riferimento all’obiezione di coscienza: questo fatto costringe il medico e la struttura ospedaliera a soddisfare le richieste del paziente.
Il ddl in esame nasconde un profilo eutanasico: in altre parole, sebbene non prevedendo esplicitamente l’eutanasia, apre di fatto un varco pericoloso alla cultura eutanasica.
L’altro articolo importante del ddl è l’art. 3 che prevede le Dat vere e proprie, dichiarazioni anticipate di trattamento. Considerare idratazione e nutrizioni alla stregua di un cura è la grande falla di questo provvedimento che, come dicevamo poc’anzi, sancisce il diritto del paziente di morire di fame e di sete e legittima il medico a far morire di fame e di sete il paziente, qualora quest’ultimo lo voglia. Oggi idratazione e nutrizioni artificiali – va chiarito – vengono dati al paziente quando questi non risultano gravosi per il paziente ma la sospensione non giustificata – se non dalla volontà del paziente – è di fatto un atto di eutanasia.
Si scontrano due approcci. Due modelli di vita contrapposti tra loro.
Il primo è quello centrato sull’uomo che si autodetermina, che può persino scegliere quando morire.
Il secondo è quello dell’uomo in una chiave relazionale, aperto agli altri, in una logica di amore verso l’altro e di servizio. Cosa possiamo fare? Possiamo pensare di amare gli altri più della propria vita, per desiderare di vivere nonostante tutto, accettando di essere soggetto a delle cure, di non essere un peso eccessivo per gli altri e quindi considerando la vita, anche del malato, con dignità.
In conclusione non siamo soddisfatti dal l’impianto del provvedimento in esame:
perché non c’è riferimento alla Convenzione di Oviedo dove la volontà e i desideri del paziente sono tenuti nella massima considerazione ma non sono vincolanti per il medico (medico divenga mero esecutore volontà paziente);
La rinuncia alla nutrizione e idratazione artificiale vuol dire far morire di fame o di sete un paziente
Non c’è un esplicito no all’eutanasia con riferimenti agli articoli del Codice penale (575-579-580) che oggi proibiscono il suicidio assistito o omicidio del consenziente
Non si fa riferimento alle cure palliative e alle legge 38/2010.
Non c’è obiezione di coscienza per il medico e per le strutture
Non c’è il coinvolgimento, accanto al medico, di altre figure professionali essenziali come l’infermiere e lo psicologo, ad esempio, per sostenere il paziente anche dal punto di vista psicologico davanti a possibili forme depressive;
Non c’è una clausola di salvaguardia per quelle strutture che , rispetto a quella che è la propria missione specifica (es. ospedali cattolici) non possono mettere in atto pratiche di tipo eutanasico nelle sue diverse forme.
Per queste ragioni come l’UDC siamo fortemente contrari al provvedimento così come è stato concepito. Ci impegniamo a modificare il testo, a cercare di migliorarlo trovando un nuovo equilibrio, con un nuovo bilanciamento tra i due diritti: il diritto alla vita, da una parte, e il diritto del paziente alla libertà sulle cure. Il provvedimento così com’è ci vede fortemente contrari perché contrasta con il principio della dignità della vita e del malato. E pertanto voteremo NO.