Ieri sera, a Padova, ho partecipato a un dibattito sul CETA, ovvero gli accordi commerciali tra Unione Europa e Canada, che verrà presto sottoposto all’esame del Parlamento e che avrà una ricaduta sulla vita di tutti noi. Quali i limiti? Quali le potenzialità? Queste le domande a cui abbiamo cercato di dare risposta.
E’ un tema importante innanzitutto perché parliamo dell’agroalimentare che, oggi, in Italia riveste un ruolo sempre più importante . L’agroalimentare, infatti, copre il 13 % dell’intero Pil.
E, in secondo luogo, perché l’accordo commerciale di cui parliamo oggi riguarda un Paese che è il quinto paese esportatore di prodotti alimentare in Canada.
Tra i prodotti che maggiormente esportiamo in Canada ci sono i vini , i formaggi, i prosciutti , l’olio di oliva e la pasta .Capite bene che tutti questi prodotti rappresentano il nostro migliore biglietto di visita all’estero. L’Italia è conosciuta proprio per la ricchezza e la varietà del suo agroalimentare.
Io credo che questa varietà e questa ricchezza vadano difese e tutelate, e non messe in discussione.
A farci capire come il nostro mare in Italy, tradizionalmente molto ricco e variegato, anche da Nord a Sud, grazie alle differenze tra i territori , rischi di essere messo in discussione è la lista di prodotti certificati italiani che verranno riconosciuti dal Canada in tale accordo .
Parliamo di 41 indicazioni geografiche tipiche a fronte dei 288 Dop e Igp registrati.
Sebbene ci siamo delle limitazioni e dei vincoli all’eliminazione dei dazi (ad esempio l’Italia potrà esportare al massimo 17.700 tonnellate di formaggio italiano in Canada).
Come Dicevamo L’agricoltura italiana è fatta di tante realtà, anche di piccole e medie dimensioni, che fanno della qualità del prodotto il loro punto di forza.
La realtà produttiva italiana e quella canadese sono differenti. Il modello produttivo canadese si basa su una produzione a larga scala. Quello italiano no. Questa è la nostra forza!
Qualsiasi multinazionale (ad esempio negli Stati Uniti) può aprire una sede in Canada ed “entrare” nel mercato europeo. Non può avvenire il contrario. C’è quindi uno squilibrio tra le parti. In altre parole il CETA attiva mega-flussi di importazione che la nostra agricoltura NON è in grado di reggere (“il pesce grande mangia il pesce piccolo”) proprio perché il nostro modello produttivo e’ radicalmente differente da quello Canadese.
E quando parliamo di qualità dell’agroalimentare italiano, ad esempio, ci riferiamo a temi concreti come il rispetto per l’ambiente e la tutela della salute.
Come molti di Voi sapranno sicuramente meglio di me , In Canada si fa uso abbondante di fitosanitari (diserbanti) come il glisofato che vengono al contrario banditi in Italia. Secondo l’OMS (organizzazione mondiale della sanità), il glisofato non è detto che sia cancerogeno. IL CETA fornisce però un’interpretazione più limitata del principio di precauzione rispetto alla legislazione comunitaria e a quella
Italiana. Non solo, In Canada è consentita anche l’uso della streptomicina, un antibiotico usato per proteggere frutta e verdura dall’attacco di batteri pericolosi per i raccolti, mentre in Italia l’uso di antibiotici in agricoltura è vietato dal 1971. In Canada vi è un diffuso impiego di ormoni negli allevamenti che è vietato in italia.
Il problema non è la liberalizzazione degli scambi ma la garanzia che i prodotti dell’agroalimentare italiano e la qualità del made in Italy vengano tutelati. All’Italia, nel CETA, vengono riconosciuti, come dicevo poc’anzi, solo 41 indicazioni geografiche (11 di queste riguardano a grandi linee la nostra regione e i territori limitrofi) a fronte dei 288 Dop e Igp registrate in Italia con la conseguente rinuncia ai restanti 247 indicazioni geografiche tipiche.
Le volgarizzazioni dei prodotti tipici italiani (es. Parmesan) coesisteranno in Canada con le denominazioni autentiche (es. Prosciutto crudo di Parma) creando una situazione di ambiguità e di vera e propria confusione tra i consumatori. In Canada, ad oggi, il mercato dei prodotti Italian sounding valgono 3,6 mld di dollari, mentre i prodotti davvero italiani valgono 950 milioni.
Ecco bisogna puntare sulla qualità di quest’ultima fetta del mercato , quindi sui produttori che investono sulla qualità e sulla genuinità dei prodotti , per far crescere il nostro Made in Italy. Dimostrando che la qualità vince su tutto, anche sui grandi numeri.