Cari amici,
staman in Senato si è tenuta, sua mia iniziativa, la conferenza stampa di presentazione dell’edizione 2024 del Digitalmeet, festival dedicato all’alfabetizzazione digitale alla presenza di Gianni Potti, presidente della Fondazione Comunica e founder di Digitalmeet; Paolo Gubitta (professore ordinario di Organizzazione Aziendale e Family Business, Università di Padova) e Paolo Fiorenzani(InfoCamere).
Il tema portante dell’edizione 2024 del Digitalmeet è il rapporto tra etica ed intelligenza artificiale. Sono temi che affronteremo oggi pomeriggio in Sala Zuccari nell’ambito di un convegno che porrà la giusta attenzione al valore della conoscenza e quindi al valore della persona che, nel rapporto con la macchina, rivendica sempre e comunque un ruolo di grande consapevolezza.
Durante questa mattinata verranno presentati i risultati di un’interessante ricerca dal titolo Chi sono le fabbriche del digitale in Italia?.
Come sentiremo tra qualche istante, dal 2020 al 2024, in 4 anni, le imprese digitali sono cresciute del 23%. Il digitale è il futuro su cui investire. L’innovazione è un terreno che va coltivato dove è centrale, a mio avviso, il fattore tempo. Si rende necessario oggi fare un cambio di marcia, in altre parole premere sull’acceleratore in quanto il “ritmo lento” scoraggia gli innovatori.
Oggi parliamo di “fabbriche del digitale” e lo facciamo in quella che a me piace definire la “fabbrica delle leggi”: il Parlamento.
Come legislatori abbiamo sì una grande responsabilità ed è per questo motivo che ho voluto fortemente promuovere questa giornata dedicata al digitale perché tutti noi siamo consapevoli che la portata di questa rivoluzione digitale è pari se non addirittura superiore a quella industriale del Secolo scorso. Sono in atto cambiamenti che muteranno per sempre, da qui in avanti, il nostro modo di vivere, comunicare, pensare e concepire la realtà.
Ho colto con interesse alcune delle indicazioni contenute da Mario Draghi nel suo recente rapporto dedicato alla competitività in Europa. Un capitolo che Draghi affronta è proprio quello delle competenze. Sono convinto che abbiamo colto la direzione verso cui bisogna andare, ma dobbiamo fare di più e soprattutto velocemente. Il digitale è una leva su cui spingere per fare crescere il nostro tessuto produttivo, ma soprattutto per trasformarlo, rendendolo più competitivo e attrattivo.
E’ vero, l’Italia ha fatto notevoli progressi nella trasformazione digitale, come evidenziato in un recente report Ue. Siamo tra i leader europei nell’adozione del cloud. Tuttavia, tutto ciò non basta: dobbiamo migliorare nelle competenze digitali. Come tutti noi sappiamo, la formazione delle persone è un processo più lungo rispetto, ad esempio, alla migrazione al cloud.
Cosa fare?
Dobbiamo investire sulla conoscenza, superando la vecchia e ormai superata contrapposizione tra sapere scientifico e sapere umanistico, consapevoli che i percorsi interdisciplinari rappresentino una ricchezza ed un valore aggiunto. Dobbiamo investire di più sulle materie STEM e dobbiamo farlo anche con l’obiettivo di colmare il cosiddetto gender gap digitale. C’è un crescente bisogno di personale qualificato nel mondo delle imprese digitali dove, purtroppo, le donne – come ci spiegherà a breve il professore Gubitta insieme a Paolo Ghezzi di Infocamere – sono sottorappresentate.
In un mondo in continua e irrefrenabile trasformazione come il nostro, le STEM rappresentano le chiavi per la crescita, così come è altrettanto importante investire maggiori risorse sul cosiddetto reskilling delle persone visto e considerato che il mercato del lavoro, rispetto al passato, è in continuo e costante movimento e le competenze di ciascuno di noi vanno assolutamente aggiornate.
Non possiamo immaginare di investire sul digitale e sull’innovazione senza le Università che sono naturalmente il luogo che guarda al progresso e che costruisce il futuro della nostra società. Dobbiamo, quindi, rafforzare il sistema universitario, la ricerca applicata all’interno delle università e, in parallelo, implementare di più il dialogo tra istituzioni, università e tessuto imprenditoriale. Il Paese ha certamente bisogno di un nuovo “contratto sociale” rafforzando l’ecosistema pubblico-privati per ‘fare squadra’. Ancora una volta, come ripeto spesso, anche in altri ambiti, c’è più bisogno di fare rete.
E qui arrivo al terzo ed ultimo concetto che prende spunto da un altro interessante dato della ricerca di InfoCamere e Università di Padova: il 4% delle oltre 60.000 imprese digitali ha un socio straniero. Sembra un dato basso, quasi irrilevante ma non è così. Questo 4% detiene infatti il 20% del valore della produzione. Tradotto in parole povere, ad oggi, le imprese digitali più grandi rischiano di andare in mano straniera. Tutto questo deve indurre, a mio avviso, noi legislatori a una seria riflessione.
La partita è ambiziosa ed è evidente, la sfida del digitale è senza dubbio ambiziosa che richiede risorse, in cui l’intervento pubblico da solo può non essere sufficiente. Ecco perché diventa importante individuare forme efficaci di stimolo per gli investimenti privati e fornire strumenti adeguati a sostenere dal punto di vista finanziario chi fa innovazione.
In questo modo creeremo le giuste condizioni per una efficace e adeguata sinergia che, insieme al ruolo delle competenze, al rafforzamento delle STEM e al riconoscimento della centralità delle nostre Università, ci aiuterà a vincere le sfide che abbiamo avanti, premendo sull’acceleratore dell’innovazione.
Antonio
INTERVISTA
INTERVISTA ADNKRONOS
INTERVISTA VISTATV
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CONFERENZA STAMPA