Cari amici,
stamani a Padova ho partecipato al convegno “Gli abusi sulle donne visti con gli occhi delle donne” e alla giornata promossa dalla partire dall’Unione Polizia locale italiana. Erano presenti il presidente dell’Upli Laura Crapanzano e il vicepresidente vicario, Giuseppe Izzo; il consigliere delegato alla Sicurezza, Eleonora Mosco e l’assessore alla Polizia locale e alla Sicurezza, Diego Bonavina.
Domani ricorre l’8 marzo, la giornata internazionale dedicata alle donne. I temi relativi alla condizione femminile, legati in particolare alla violenza di genere e alle discriminazioni nel mondo del lavoro, sono oggi al centro dell’agenda pubblica.
Ho evidenziato nel mio breve saluto due concetti.
Illustrando il primo, sono partito da un dettaglio che non è a mio avviso marginale. Nel panel degli autorevoli relatori, oggi chiamati ad intervenire, ci sono diversi profili, con una matrice culturale e professionale l’uno diverso dall’altro. Rappresentanti delle istituzioni, criminologi, forze dell’ordine, polizia giudiziaria, Ordine degli avvocati e, ancora, rappresentanti del mondo accademico, universitario e scolastico.
Tutti questi “attori”, a diverso titolo, si occupano di violenza di genere e abusi sulle donne, un tema che necessita oggi di una RISPOSTA CORALE che non può e non deve limitarsi all’aspetto legato alla repressione ma deve comportare un processo culturale, che determini e solleciti un cambiamento nei processi relazionali fra le persone.
Perché? Perché, come dico sempre, dietro un abuso o una violenza nei confronti di una donna, c’è prima di tutto un pensiero maschilista e patriarcale che merita la condanna più ferma.
E qui mi riaggancio al secondo concetto.
Vorremmo un giorno non parlare più di violenza di genere, è vero. Io sono convinto che ci riusciremo, ma solo ad una condizione. La condizione sine qua non per vincere la sfida della violenza di genere è restare uniti e coesi.
In Parlamento, grazie all’iniziativa della maggioranza, abbiamo introdotto delle misure concrete che rappresentano, a mio avviso, dei passi in avanti nella giusta direzione.
Penso, ad esempio, al reddito di libertà introdotto in Legge di bilancio e destinato alle donne vittime di violenza in condizioni di povertà. Proprio in questi giorni il Ministero per la Famiglia e le pari opportunità ha firmato il decreto di riparto delle risorse: 30 milioni complessivi, di cui 10 nel 2025. Il contributo, fra l’altro, è compatibile con altri strumenti di sostegno come l’assegno di inclusione. Grazie al Centrodestra al Governo, questo strumento (il reddito di libertà) è diventato strutturale.
Sempre nel 2025 i Centri anti violenza che, nei territori, svolgono un lavoro importante, riceveranno risorse pari a 80,2 milioni. Siamo convinti che assicurare finanziamenti il più possibile strutturali sia l’elemento essenziale per garantire la continuità delle azioni di questi Centri che, quotidianamente, operano per intercettare i bisogni delle donne vittime di violenza e di abusi.
Purtroppo, i dati su femminicidi sono ancora allarmanti e ci devono spingere a fare di più.
Le misure messe in campo vanno sicuramente implementate e affiancate da azioni “positive” in grado di incidere profondamente sul piano culturale, attraverso la promozione in ogni campo dei valori della parità e del rispetto. Valori che sono come “semi”, vanno piantati sul terreno ma soprattutto vanno coltivati.
La scuola, ad esempio, raffigura il luogo primario in cui si struttura l’identità di genere e la personalità dei ragazzi ed è la motivazione per la quale, come istituzioni, dobbiamo sostenere e valorizzare l’operato dei docenti impegnati nei percorsi di educazione all’identità e alle relazioni di genere, iniziando dai più piccoli.
Prevenzione e contrasto alla violenza di genere sono obiettivi che vanno condivisi a ogni livello, al di là di ogni colore politico.
Questa è la lezione che dobbiamo trarre dalla Giornata di oggi, perché ci sono valori – come il rispetto nei confronti dell’altro e delle donne – che non possono e non debbono avere colori politici.
Antonio