Emergenza Siccità: non esistono più i grandi fiumi. Provvedimenti e scenari futuri

Cari amici

questa mattina su invito del vicepresidente della provincia di Padova, Vincenzo Gottardo (con delega all’Agricoltura) ho partecipato ad una importante tavola rotonda su una questione molto attuale, che riguarda da vicino il nostro territorio della Provincia di Padova e le nostre aziende.

Erano presenti tra i tanti: Enzo Sonza, presidente del Consorzio di Bonifica Brenta e Silvio Parise , presidente del Consorzio di Bonifica Alta Pianura Veneta e i rappresentanti delle categorie economiche del comparto agricolo, che interverranno dopo di me, a partire da Massimo Bressan (presidente Coldiretti Padova); Luca Trivellato (presidente CIA Padova) e Michele Barbetta (presidente di Confagricoltura Padova).

Mi aggancio subito al tema della siccità e all’impatto che essa ha in agricoltura.

Nel modello agricolo italiano il 42% della produzione nazionale ha bisogno di irrigazione perché l’acqua piovana non basta.  E’ un dato che colloca il nostro Paese nelle prime posizioni in Europa, essendo l’Italia preceduta solo da Grecia (54%) e Malta (47%).

Qualche giorno fa abbiamo celebrato la Giornata mondiale dell’acqua.

L’agricoltura italiana lo ha fatto facendo i conti con il peso drammatico della siccità.

Secondo alcune stime, i danni provocati dalla mancanza d’acqua nelle campagne vengono stimati in 6 miliardi di euro.

Si prevedono crolli produttivi fino al 30 per cento.

Secondo lo studio Ambrosetti, se non arriveranno risposte è a rischio il 18% del Pil nazionale.

L’acqua è fondamentale per 1,5 milioni di imprese agricole in tutta Italia.

La mancanza di acqua irrigua mette a rischio i 7 miliardi delle produzioni agricole venete, di cui molte di eccellenza.

Proprio per questo motivo in Senato ho posto con urgenza la questione sul tavolo del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica a cui ho chiesto di intervenire prevedendo un Piano strategico nazionale contro la siccità con una serie di azioni a partire dagli invasi, interventi sulla rete idrica per contrastare le perdite d’acqua, opere infrastrutturali come impianti di ricarica e desalinizzatori.

Qualche settimana fa, si è riunita la prima cabina di regia interministeriale con il coinvolgimento delle Regioni e degli altri interlocutori che hanno competenza sulla realizzazione e gestione degli interventi.

C’è dunque un problema che ha radici storiche non solo in ritardi e nello immobilismo di molti, ma anche – come vedremo – culturali, e che impongono alla Politica scelte impegnative e coraggiose.

Cito un primo dato. Gli invasi sono cruciali per la raccolta dell’acqua piovana. Come Italia siamo in grado di trattenere solo l’11%.

Dobbiamo scongiurare il rischio che l’acqua diventi un bene difficile da reperire, con conseguenti aumenti di costo così come avvenuto per il gas, e famiglie impossibilitate a disporre di questo bene che è primario.

C’è un problema di risorse, senza dubbio.

Una mano potrà darla il PNRR che destina 4,4 miliardi complessivamente, di cui  2 miliardi per le nuove infrastrutture (Piano invasi).

Per realizzare le opere idriche necessarie – bisogna guardare in faccia alla realtà – oggi servono almeno 60 miliardi.

C’è dunque un problema di risorse ma c’è anche un problema di programmazione e di governance dell’acqua.

L’acqua è un bene pubblico e ha scatenato in altri continenti delle vere e proprie guerre, migrazioni, sofferenze umanitarie enormi e non più tollerabili.

C’è un però. Il groviglio di competenze, procedure, autorità ed enti chiamati a gestire questo bene è tale da generare, in alcuni casi, deresponsabilizzazione, incapacità di dialogo fra gli enti e dunque un sostanziale immobilismo nell’azione, salvo sporadici interventi che messi in rete (cioè nell’insieme di tutte le situazioni che sono tra loro collegate, non pezzettini a sé stante) mostrano le problematiche di questa ultima.

Se effettuo un singolo intervento “a valle”, ad esempio miglioro la rete di distribuzione acquedottistica ad uso agricolo, devo avere ben in mente l’approvvigionamento “a monte” sia da fonti proprie, ma anche (come accade nel nostro Veneto) da convogliamento di risorse da altre regioni che dispongono di risorse idriche. Mi viene in mente il grande apporto del Trentino Alto-Adige per tutte le nostre esigenze: allevamenti di animali, sistema vitinicolo, coltivazione di cozze, agricoltura soprattutto nel veronese e così via.

C’è una pletora di Autorità di bacino o Consorzi di bonifica (alcuni di questi, in alcuni casi addirittura – soprattutto al Sud– non hanno neppure individuato l’ente gestore).

Bisogna avere il coraggio di intervenire quindi con la Politica, cioè non spostando il problema solo alla tecnocrazia che spesso è cieca limitandosi a svolgere quel che gli viene affidato oppure a spendere i soldi che ottiene per alcuni interventi.

Ecco quindi la necessità di selezionare gli interventi e le risorse da attribuire, i contributi e i fondi, tenendo conto di chi poi effettivamente riuscirà a realizzarli , ma in una visione che, ripeto, deve essere Politica, cioè di tutti.

Per cui, guardando agli enti che sono “fermi”, occorre dire: basta a chi non è in grado di intervenire, o addirittura che non ha ancora individuato i gestori. Qui cosa dovremo fare? Ancora una volta ammettere la sconfitta nominando dei commissari?

E’ chiaro che bisogna distinguere, tra le tante situazioni, ovvero caso per caso, territorio per territorio.

La differenza, infatti, non la fanno solo le leggi che si possono sfornare in Parlamento o le risorse (che eppure sono scarse come dicevo nel primo passaggio del mio intervento) , ma al contrario la differenza la fa  chi non si tira indietro di fronte a queste situazioni sia in sede di pianificazione, che presuppone la dialettica politica sulla scelta degli obiettivi, sull’elenco delle cose da fare tenendo conto delle esigenze della collettività, non dell’ente di turno che viene a tirarci la manica o che si presenta con il cappello in mano per venire riempito di contributi.

E poi, vogliamo dirlo? Serve un vero management che sappia combinare le risorse sia materiali che umane e muoversi all’interno dei nuovi contesti problematici che sono emergenziali e che ci preoccupano per il futuro delle prossime generazioni.

Serve quindi una visione sistemica, non lasciata al management abituato ad affrontare queste crisi solo a colpi di aumenti di tariffe. Occorre che la Politica riprenda il suo ruolo e sia in grado di comprendere oltre le statistiche i veri bisogni. Insomma, occorrono nuove visioni, meno tecniche e più valoriali.

Come spero si sia compreso, al di là dell’emergenza siccità è tutto il settore della governance dell’acqua che ha bisogno non tanto di un riordino, quando di aria fresca e nuova di cambiamento.

Troppi enti e organi intervengono e talvolta paralizzano iniziative che non tollerano più ritardi od ostacoli. Questo non significa togliere loro la parola, perché la dialettica deve rimanere nel terreno di confronto che però è Politico e non meramente tecnico come spesso banalmente viene posta la questione. Ma è una Politica che deve capire anche il glossario tecnico, senza essere giocoforza un tecnico. E il tecnico oggigiorno non può limitarsi solo a timbrare il cartellino e fare il funzionario occhiuto. Serve quindi una nuova cultura politica e manageriale.

La catastrofe del coronavirus – che ha colpito tutta l’umanità – ci insegna, assieme alle tante crisi che ci assediano (guerre, sistema finanziario che crolla, inflazione che erode i risparmi dei più deboli, servizi di welfare e sanità in riduzione, eccetera)  che siamo tutti dentro una casa comune e che, dunque, per salvaguardare la nostra esistenza, così come l’Ambiente, è necessaria la cooperazione e una visione solidaristica.

L’acqua d’altronde non è un bene come gli altri. L’acqua è vita, ci insegna Sua Santità Papa Francesco.

Ecco perché bisogna passare da una visione liberista e individualistica, consumistica, a una visione invece comunitaria e solidaristica. Lo diceva già un secolo or sono l’economista trevigiano Toniolo che ora ispira quella pulsante corrente cattolica della economia che guarda alla società, cambiando i paradigmi e i modelli in voga e diffusi anche da quegli economisti che nemmeno si erano accorti delle crisi (inizialmente finanziarie ora strutturali) in cui ci dibattiamo da quasi un ventennio.

Con l’enciclica Laudato sii di Papa Francesco nel 2015, il Santo Padre ha proposto di accendere i riflettori proprio su questa “casa comune”, promuovendo uno sviluppo sostenibile in cui tutti gli elementi sono tutti connessi fra di loro.

L’ecologia integrale è “un invito a una visione integrale della vita, a partire dalla convinzione che tutto è interconnesso e che siamo interdipendenti e dipendenti dalla nostra madre Terra” (Papa Francesco).

Questa visione (che è sì democratico-cristiana), oggi è ancora più attuale a maggiore ragione dopo l’inserimento della tutela dell’Ambiente in Costituzione che cambia molto non solo dal punto di vista legislativo e tecnico-attuativo, soprattutto come approcci e visione nei valori da noi condivisi.

Tutto ciò, lo ripeto spesso anche a me stesso,  è realizzabile solamente nella conversione culturale e del proprio cuore.

Antonio