No al declassamento della Casa di cura di Abano Terme. Difendiamo i servizi!

Ho sottoposto oggi all’attenzione della Presidenza e dell’Aula un tema che sta a cuore ai cittadini, al di là delle bandiere politiche.

Parliamo di sanità, quindi di diritto salute.

In Veneto, in provincia di Padova, la casa di Cura di Abano rischia di essere declassata da Ospedale a struttura integrativa della Rete ospedaliera pubblica.

In parole povere, questo cosa comporta?

Vuol dire riduzione dei servizi

Vuol dire riduzione del numero delle prestazioni erogate ai cittadini e anche ai visitatori di un’area turistica come quella delle Terme euganee (oltre 3 mln di visite all’anno)

Vuol dire chiudere il pronto soccorso che, ogni anno, registra 38.000 accessi!

Rischiano di chiudere anche Terapia intensiva, Traumatologia, Ostetricia e Rianimazione.

Parliamo di numeri ma anche di qualità.

Secondo l’ultimo rapporto Agenas, (Piano nazionale Esiti), l’ospedale di Abano è tra i primi in Italia come qualità dell’assistenza nell’ambito della chirurgia della prostata e della chirurgia del ginocchio.

E’ impensabile che le centinaia di migliaia di turisti (circa 800.000 ogni anno) che visitano il Bacino Termale Euganeo debbano far riferimento, per i servizi di urgenza e pronto soccorso, a strutture ospedaliere (come ospedale di Schiavonia o ospedale di Padova) che sono raggiungibili nelle ore di punta solo dopo 1 ora.

Non si tocchino i servizi ai cittadini.

Come si può pensare di chiudere una struttura che registra 42.000 utenti all’anno?

Alla Presidenza e a tutti voi, cari colleghi, intendo porre questa situazione che – ne sono certo – è solo un esempio di disinvestimento rispetto al nostro Sistema sanitario che necessita di un Piano Marshall.

Quindi, – mi avvio alle conclusioni – pongo all’attenzione dell’Aula il tema della spending review in sanità. Bisogna cambiare rotta: non è possibile disinvestire sul diritto alla salute.

Bisogna tornare a investire sulla salute dei nostri cittadini.

Credo che questo sia un tema da cui non possiamo prescindere, come dicevo all’inizio, a prescindere dai colori e dalle appartenenze politiche.

Lo faccio perché come è noto a livello nazionale, ormai da anni, si registra una pesante carenza di medici, infermieri e personale sanitario nei nostri ospedali, da Nord a Sud.

Da parte della maggioranza allo stato attuale c’è un’assoluta mancanza di strategia per difendere il livello di qualità e di eccellenza del nostro Servizio Sanitario nazionale che, in tutto il mondo, nonostante le criticità, le differenze a livello territoriale, ci invidiano.

Stipulare dei contratti ai medici in pensione. Questa è una soluzione “tampone” che la regione Veneto – ma non è l’unica regione, altrettanto ha fatto il Molise – ha individuato per ridurre i danni. Il problema della carenza dei medici permane.

Le  risorse umane – medici, infermieri e personale sanitario – rappresentano il pilastro della nostra sanità.

Lo dicono i numeri.
Secondo l’ANAAO -Assomed, in Italia, nei prossimi 5 anni, mancheranno 45.000 medici.

Sempre secondo Anaao Assomed, stando ai recenti dati Eurostat negli ospedali italiani nel 2016 operavano circa 213 medici ogni 100.000 abitanti, cifra che sale a 264 in Francia, in Germania 237 e in Spagna 227. La situazione nazionale rischia di passare a 181 medici ogni 100.000 abitanti entro il 2025.

Un problema c’è, dunque.
In Veneto – la regione da cui provengo – i numeri seguono, purtroppo, il trend nazionale.

Il 2022 sarà l’anno peggiore per la sanità: oggi mancano 1300 medici nella nostra regione ma nei prossimi anni altri 3800 se ne andranno in pensione

Sapete quanto costa all’Italia un laureato in Medicina? Costa 150.000 euro.

Bisogna rivedere il sistema di formazione dei medici, investire più risorse nelle Scuole di specializzazione e serve anche un nuovo modello del SSN: serve più personale parasanitario, oggi i medici passano troppo tempo a occuparsi di burocrazia.

C’è un problema di risorse e di investimenti.

Disinvestire sul diritto alla salute è una scelta sbagliata!

Antonio

VIDEO DEL MIO INTERVENTO IN AULA AL SENATO