Autonomia. Siamo il Paese delle differenze. Ecco perché è una legge giusta – Corriere Veneto

In questi giorni il dibattito pubblico sul tema dell’Autonomia si è inasprito eccessivamente a causa di toni e argomenti che sono del tutto strumentali e non consentono ai cittadini di avere chiaro il quadro rispetto ai benefici di questa riforma. Quando si mette in campo il pericolo della distruzione dell’Unità della Repubblica è indispensabile considerare i problemi del nostro Paese per quello che sono stati, sono e probabilmente saranno. È chiaro infatti che l’Italia è un Paese articolato in una pluralità di territori che hanno comunità con storie diverse. Il nostro è il Paese delle differenze.

L’autonomia la si può definire in modo molto semplice: è in primo luogo espressione del principio di libertà; in secondo luogo è attuazione necessaria del principio di responsabilità. È bene ricordare che l’Autonomia è negata o ridotta ai minimi termini dai regimi autoritari. Questo non è un bel segnale per chi è ossessivamente preoccupato dell’Unità e fatica a ragionare in termini di autonomia.

Quello che è indispensabile mettere in luce è che le norme costituzionali che la riguardano sono state attuate malamente. Il discorso riguarda sia Comuni e Provincie, sia le regioni. Per lungo tempo i primi sono stati disciplinati dai vecchi testi unici della legge comunale e provinciale. Quanto alle regioni ordinarie, ci sono voluti più di 20 anni per attuarle.

Ed anche questo la dice lunga circa le resistenze di carattere culturale e Politico che hanno riguardato il pluralismo autonomistico.In ogni caso, non tutte le comunità e i relativi territori hanno manifestato in passato e manifestano ora il medesimo desiderio di libertà. Sotto questo profilo, è fuori discussione che il Veneto ha sempre nutrito forti aspirazioni autonomistiche.

Lo ha fatto nel rispetto più rigoroso delle regole del gioco: innanzitutto della Costituzione. Sotto questo profilo, se si considera l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e si tiene presente il dato cronologico del 2001, ci si accorge che esso è stato pensato e formulato proprio per consentire di dare una risposta a questa parte del territorio nazionale.

Il disegno di legge Calderoli non fa altro che ricollegarsi a questa innovazione costituzionale. Anche se non era indispensabile approvare una legge quadro, quale è, tuttavia essa stabilisce alcune regole utili in tema di procedimento e di livelli essenziali delle prestazioni, dei diritti civili e sociali che debbono essere assicurati sull’intero territorio nazionale. Inutile dire, che fin dall’inizio ci si è preoccupati di richiamare i principi di solidarietà, di eguaglianza, di unità e indivisibilità della Repubblica. Proprio in questa prospettiva il disegno di legge non attribuisce alla Regione che ottiene maggiori funzioni somme aggiuntive rispetto a quelle che oggi spende lo Stato. Ragione per cui nessuna regione può temere di vedersi ridotte le risorse di cui attualmente dispone. Chi afferma il contrario è in malafede. Quanto poi ai Lep, la Repubblica avrebbe dovuto preoccuparsi della loro determinazione almeno a partire dal 2001. Non lo ha fatto per lunghissimo tempo ed oggi se si appresta ad occuparsene è solo perché qualche regione ha posto il problema dell’autonomia differenziata. Infine, è bene tener presente che il disegno di legge Calderoli impone di ripensare l’intero sistema dei poteri locali, come ha avuto occasione di suggerire più volte, inascoltata, la Corte Costituzionale.

Ciò che finisce per confondere ogni ragionamento è la questione meridionale, la quale non va disgiunta dalla questione settentrionale. Sono due facce di una stessa medaglia. Al centro dell’attenzione va posta la realtà, la quale dimostra che da sempre esistono enormi differenze fra queste distinte parti del territorio nazionale. Che non siano risolutive, di per sé, maggiori competenze e maggiori risorse, lo dimostra il fatto che, a parità di condizioni ed usufruendo di regimi specialissimi, la regione Sicilia si segnala per i pessimi risultati conseguiti, mentre il Trentino Alto Adige si colloca su un versante esattamente opposto: quello del buon governo e della buona amministrazione.

Ciò dimostra che un fattore tra i più rilevanti del successo del regionalismo è rappresentato dalla capacità amministrativa, la quale dipende dalla qualità degli amministratori e dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. È evidente, allora, che a proposito dell’autonomia, non si deve fare di ogni erba un fascio. Quando se ne parla, non si deve menzionare la Regione, ma distinguere Regione da Regione e tenere conto di quel che ciascuna di esse ha dimostrato di saper fare.

Antonio De Poli
Parlamentare

Fonte: Corriere Veneto